Anish Kapoor, Sangue e Purezza

ANISH KAPOOR, 

 

SANGUE E PUREZZA

 

Galleria dell’Accademia, Venezia

 

20.04-9.10.22

 

 

Venezia, prima di iniziare la terza giornata di un convegno dedicato alle connessioni nell’arte contemporanea, visito con due amiche la mostra retrospettiva di Anish Kapoor allestita alle Galleria dell’Accademia: la passione per l’arte fa sembrare di non averne mai abbastanza.


 Sono circa le 8 e 30 di mattina, non c’è quasi nessuno, al piano terra ci accoglie la prima sala di questa potente esposizione. È da subito un pugno nello stomaco, schizzi di sangue compaiono da un’apertura, uno spazio che si apre su un altro, sullo sfondo intravediamo già l’orrore della carneficina che si paleserà ai nostri occhi nella sala successiva con Shooting into the Corner (2008–09). È un vero massacro in lucidissima cera rossa, un’apocalisse generata da un compressore pneumatico che vediamo vicino alla parete.  Il rosso è ovunque, è sangue che da terra schizza sui muri e che quasi non ci fa scorgere l’opera Pregnant White Whitin me (2022). L’opera è vicinissima alla soglia d’ingresso della sala, ma non ce ne accorgiamo perché l’opera è bianca, è pura e perché il suo spessore non è visibile da una prospettiva frontale, ma solo lateralmente, insomma dipende da noi vedere l’opera o meno, dipende da noi farci prendere solo dalla violenza o lasciarci ispirare dalla purezza che non fa scalpore. L’alternativa c’è, anche se non sempre è da subito chiara.

 


La purezza della forma conclude questa esposizione, con un percorso che dalla violenza sbattuta in faccia attraverso secchiate di sangue, porta al silenzio della percezione. L’ultima sala è un susseguirsi di forme nere, alcune incapsulate in teche di vetro, alcune, quelle di maggiori dimensioni, libere. Quadrati, cerchi, ovali, rigorosamente e totalmente neri. L’apparenza è la forma bidimensionale, la realtà, non percettibile frontalmente, ma solo lateralmente, è spessore, è convessità o concavità. Nulla è come appare, ogni forma apparentemente piatta nasconde un suo spessore, una sua profondità. 

Ottenere questo effetto è frutto di una ricerca scientifica e di un uso, tecnicamente perfetto, del materiale nanotecnologico Vantablack, un materiale d’uso militare ottenuto con microscopiche particelle di carbonio. Un nero che non può essere più nero, che maschera la forma, non rivelandone attraverso le ombre la vera natura.  Un nero che si mangia tutta la luce non lasciando spazio alla proiezione dell’oggetto nello spazio. La consistenza, la sostanza della forma c’è, ma non si manifesta apertamente. Esiste solo per chi la sa vedere cambiando prospettiva. 

 

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