Omaggio a Buzzati, parole e immagini



I miracoli di Val Morel è il titolo con cui vengono pubblicate in un volume unico, edito da Garzanti nel 1971, le tavole esposte nel settembre del 1970 alla galleria “Il Naviglio” di Venezia.
Il volume si apre con una spiegazione[1] di Buzzati che, con un espediente dal sapore manzoniano, finge di aver trovato nella biblioteca paterna un quaderno narrante gli interventi prodigiosi di santa Rita. In questa fantasiosa introduzione l’autore narra di essersi recato, mosso dalla curiosità suscitata dalla lettura del quaderno, alla ricerca del santuario di Santa Rita in Val Morel. In questa valle situata tra il greto dell’Ardo e il Visentin trevigiano non trova però che un piccolo tabernacolo e un vecchietto, Toni della Santa (il cognome è lo stesso della guida alpina realmente conosciuta da Buzzati nelle sue escursioni dolomitiche), che Buzzati scopre essere l’autore del quadernetto letto nella biblioteca di casa. Buzzati ascolta attentamente, prendendo degli appunti scritti, le parole di quest’uomo (l’incontro ricorda per molti particolari quello avvenuto nella “Presentazione” all’opera completa di Bosch).
Buzzati continua narrando del suo distacco da questi luoghi allo scoppio della guerra, solo nel 1946 Buzzati ritorna a Belluno e ritorna a visitare la Val Morel. Qui però del tabernacolo visitato anni prima, del sentiero che conduce ad esso, del vecchietto incontrato, nessuna traccia: “il senso della vita che passa, che è passata per sempre”[2].
Nel silenzio di questa vana ricerca riaffiorano alla mente di Buzzati le parole lette nel quaderno, ascoltate dalla voce del vecchio; e dai fotogrammi della memoria, come uno specchio, le immagini di questi Miracoli di Val Morel.
Le tavole di questa raccolta sono coerentemente accomunate dalla formula “Per grazia ricevuta”, abbreviata in “P.G.R:”, che esprime il dovere di essere riconoscenti a Santa Rita da Cascia, colei che illumina il mondo restituendo agli uomini la libertà.
Da una visione d’insieme della raccolta si scorge un particolare degno di nota: gli elementi femminili come acqua e terra caratterizzano i primi tredici quadri, nei rimanenti quadri dominano invece elementi maschili come fuoco e aria[3]. Comune ad entrambe le sezioni è la fantasia, l’atmosfera sospesa nell’attesa del miracolo imminente, la religiosità popolana che quasi sfuma in superstizione.
Il senso del meraviglioso e del mistero che anima quest’opera tarda va ricondotto alle letture della giovinezza (caratterizzate dalla predilezione per autori nordici), sopratutto al fascino esercitato su Buzzati dalla montagna, grande passione nata in giovinezza che dà vita a questa tarda raccolta con cui Buzzati pare voler rendere un ultimo omaggio alle amate montagne, quasi a voler dar loro un ultimo commosso addio[4]. Montagna e natura sono sentite in quest’opera come ultimi possibili rifugi sereni nella ricerca di una tranquillità interiore perduta da tempo[5]. Buzzati sentendo ormai prossima la fine si prepara al confronto con la morte cercando consolazione nella memoria dei luoghi familiari dell’infanzia. Un ritorno alla natura, questo dei Miracoli di Val Morel, velato di nostalgia e d’intimo sapore romantico.

[1] D. Buzzati, Per Grazia ricevuta, Milano, Grandi Edizioni italiane, 1983
[2] D. Buzzati, Per Grazia Ricevuta, op. cit., pag.13.
[3] A.P. Zugni Tauro, L’affabulazione fantastica ne “I miracoli di Val Morel”, in Il pianeta Buzzati, op. cit., pp.341-374.
[4] N. Roman, Miracoli di Val Morel, in “Messaggeri Veneto”, 18 ottobre 1992.
[5] N. Roman, Le montagne di Buzzati, strani mondi popolati da una miriade di folletti, in “Messaggero Veneto”, 18 ottobre 1992.

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